cinema

giovedì 14 ottobre 2010

ALDO MORO, L'AFFAIRE - Parte 2

SE SARA’ LUCE SARA’ BELLISSIMO
AURELIO GRIMALDI - 2004


Grimaldi si impegna. Raccontare il rapimento di Aldo Moro avventurandosi per strade non battute non è un’impresa facile. E così decide di scrivere una sceneggiatura con al centro un filone principale, quello dei cinquantacinque giorni della prigionia, e un altro che cerca di seguire tanti segmenti situazionali paralleli. Così c’è la professoressa o i sindacalisti che si dichiarano né con lo stato né con le Brigate Rosse e vengono espulsi da scuola e sindacato. C’è il dibattito sul compromesso storico tra militanti di base in una sede del PCI. C’è la brutalità della tortura fisica e psicologica messa in atto dalle forze dell’ordine. C’è il potere con le sue trame e i suoi personaggi. C’è la quotidianità dei brigatisti. Ne risulta un film frantumato, con trovate di scrittura interessanti ma il regista non riesce a approfondire nemmeno uno dei molti spunti narrativi toccati.
Certo proporre una sequenza non sistematica di piccole storie implica un minimo grado di difficoltà se poi anche gli attori non riescono quasi mai ad essere convincenti il film non ci guadagna. Si salva l’ispettore Crollo, molto efficace nell’interrogatorio della professoressa.

BUONGIORNO, NOTTE
MARCO BELLOCCHIO - 2003


Quello di Bellocchio è senz’altro il migliore dei film sul caso Moro, nel quale il tocco d’autore è subito percepibile nella scelta della focalizzazione non tanto sull’episodio cruciale, quanto su un personaggio ‘marginale’ al fatto storico.
Protagonista infatti Chiara/Anna Laura Braghetti, la sua esistenza scissa in diversi ruoli che nello svolgimento filmico non riuscirà più a gestire. Chiara è divisa tra l’ambiente di lavoro, la famiglia, la prigione del popolo. Nella prigione del popolo è ulteriormente sdoppiata nella figura della vicina sposata con un marito che non è il suo vero compagno e la militante dapprima convinta poi perplessa. In più c’è il rapporto claustrofobico con gli altri brigatisti, con il Presidente, in un gioco di gabbie dentro altre gabbie nelle quali gli uomini ‘reali’ non hanno la fortuna degli uccelli, che possono volare via, né le possibilità dei sogni, che possono ribaltare la realtà. 
Dal punto di vista temporale Bellocchio non racconta solo i cinquantacinque giorni del sequestro, ma fa iniziare il film ben prima del 16 marzo 1978, dal momento in cui viene scelto l’appartamento, spazio drammatico ed esistenziale nel senso di luogo dove si svolge il dramma e luogo delle esistenze segregate di carcerieri e prigioniero.
Bellocchio come al solito farcisce il film di molti piani di interpretazione e le linee da seguire sono molteplici. Tra questa: Chiara e il collega di lavoro, Chiara e il Presidente, Chiara e i brigatisti, il comunismo sano della resistenza, il comunismo malato dell’intransigenza, i diversi linguaggi visivi utilizzati eccetera. Il regista vuole sottolinearle tutte, finendo per appesantire visione e dopo visione. E c’è anche una sceneggiatura a moltiplicare i rimandi e a sovrapporsi alla realtà.
Molto riuscita la scena in cui viene freddamente declamata l’ideologia dogmatica per bocca di Lo Cascio/Moretti, personaggio ‘condannato’ dal regista. Non condanna invece Chiara, come se ci potessero essere brigatisti buoni e brigatisti cattivi.

2 commenti:

  1. grande regista,grande persona...fra i più onesti intellettualmente..una vera rarità

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  2. bellocchio scuote le coscienze. anche se a volte i risultati artistici sono discutibili, ce ne fossero di registi così, soprattutto in italia.

    grazie brazzz

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