cinema

venerdì 24 settembre 2010

TAKESHI KITANO

BROTHER

TAKESHI KITANO - 2000

“Non è un film di gangsters”, dice il boss giapponese: è un film in cui degli “sporchi negri si uniscono a dei fottuti giapponesi” secondo un ispanico.
È un film in cui vengono fatti fuori dei messicani e gli italiani fanno fuori i giapponesi. È un film sull’America e sul confronto tra Oriente ed Occidente. Gli interessi che fanno girare il mondo sporco sono sempre gli stessi: denaro, bande criminali, cerimoniali. Ogni etnia ha i suoi rituali ma la sostanza non cambia. Ciò che invece costituisce una profonda differenza è la considerazione che si ha della propria vita e il conseguente rapporto con la morte. Nel sistema di valori orientale la vita è costantemente messa in gioco come bene sommo che serve a far valere la parola di uomo. La vita si offre per un amico, per affermare la propria dignità.
Tutto il vissuto di Aniki in America (interpretato dallo stesso Kitano) non è che l’azione di un morto. Aniki è stato condannato e si è svolta la sua esecuzione. Consapevole di questa condizione affronta ogni situazione senza il minimo senso del pericolo. Con la sua spregiudicatezza Aniki innesca la miccia che porterà ad una catena di esplosioni sempre maggiori, fino alle inevitabile conseguenze. Ma il destino era segnato già dal principio.
In questo rigoroso snodarsi della storia e fuori dai rituali di facciata trova spazio il vincolo di ‘fratellanza’ che può affermarsi anche tra uno sporco negro e un fottuto giapponese. Kitano fa un film di genere (Brother è un film di gangsters, nonostante la boutade) ma parla un linguaggio più profondo.
Fotografia luminosa, ambienti puliti, quasi asettici con gli ormai obbligatori inserti gore (esemplificativa la scena del seppuku con intestini penzolanti), codice comunicativo ridotto ai minimi termini per una società in fase regressiva.

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