cinema

mercoledì 8 settembre 2010

MICHAEL HANEKE

IL NASTRO BIANCO
MICHAEL HANEKE - 2009


Grandi apprezzamenti per Il nastro bianco ma Haneke continua a non convincere pienamente. Le idee ci sono eppure finora non ha ancora realizzato un capolavoro riuscendo a ‘sbagliare’ con errori più o meno gravi film che promettevano bene. Anche in questo film vengono proposti diversi spunti interessanti che poi, nell’insieme dell’opera, non trovano un equilibrio confermando perplessità sull’effettivo talento del regista.

Il nastro bianco è un film a tesi, quasi un saggio storico-antropologico che ha l’ambizione di spiegare l’origine del Nazismo nel popolo tedesco. La voce fuori campo del narratore dichiara, quasi epigrafe in esergo, lo scopo di ciò che verrà raccontato.

“Non so se la storia che voglio raccontarvi corrisponda a verità in tutti i suoi dettagli. Molte sono le parti che conosco solo per sentito dire e ancora oggi, dopo tanti anni, ci sono misteri rimasti insoluti e numerose domande rimaste senza risposta. Tuttavia, penso sia mio dovere raccontare le strane vicende accadute nel nostro villaggio perché esse potrebbero, in parte, chiarire alcuni processi maturati nel nostro Paese”.

E subito affiorano dubbi: l’intento di spiegare, in parte, i processi storici attraverso vicende che non si sa se siano vere, sapute per sentito dire, rimaste senza risposta. Se si vuole essere rigorosi e sviluppare temi così pretenziosi, tale incipit è di una ingenuità che predispone negativamente lo spettatore nei confronti di ciò che seguirà. Poi, dopo la dichiarazione d’intenti, il bianco e nero e l’ambientazione fanno scattare immediatamente il riferimento stilistico, quasi calco, di Haneke: Il nastro bianco è troppo Bergman.

E veniamo al film. Tre le cornici entro le quali si svolgono i fatti: le microstorie individuali, la storia comunitaria del villaggio, la Grande Storia.

Siamo nella Germania del Nord, alla vigilia della Prima Guerra Mondiale in una comunità contadina luterana caratterizzata da rapporti quasi feudali. I protagonisti sono le figure sociali standard del villaggio: il Barone, il Pastore, il Dottore, il Contadino, il Maestro-narratore (non poteva essere altrimenti, è l’intellettuale che racconta e argomenta tesi).

Ogni figura è al centro di una sfera di relazioni funzionalmente ben delimitata che sfiora e a volte compenetra quella degli altri. Sempre presente la comunità la quale oltre che sfondo assurge a protagonista del film assieme agli altri personaggi/ruoli.

Il tempo filmico è scandito da eventi personali come la caduta del Dottore, l’incontro del Maestro con Eva, la morte della moglie del Contadino, eccetera; da eventi collettivi quali il raccolto, la festa, le funzioni religiose, le ricerche degli scomparsi, l’incendio; dalle date della Storia: omicidio di Sarajevo, la dichiarazione di guerra.

Haneke cerca in tutti i modi di sottolineare la violenza e le aberrazioni che fondano e formano le relazioni interpersonali, la famiglia, l’intera nazione che porta così a crescere una generazione malata - il gruppo dei ragazzi del film – che sarà la base della Germania nazista.

Baronessa: “Io vado via da qui per evitare ai figli di crescere in un ambiente dominato da malignità, invidia, stupidità e brutalità. Ne ho abbastanza di prepotenze, di minacce, di perverse vendette”.

Troppo semplicistico.

Il finale rimane aperto. Si dirà che questo è funzionale all’alto profilo seguito, che nelle vicende umane non si danno risposte certe (e ciò sarebbe in contraddizione con il rigido determinismo adottato) ma potrebbe essere dovuto all’incapacità di chiudere il film. Si conferma comunque l’impressione che Haneke sia un regista che manchi dei mezzi per raggiungere i troppo elevati obiettivi prefissi.


4 commenti:

  1. tra le recensioni fortemente critiche verso questo film, questa è la migliore che ho letto, argomentata e coerente, priva di prese di principio. a me piace haneke anche se questo non lo considero il suo migliore sicuramente.

    e su bunuel e ferreri invece andiamo d'accordissimo! un film che amo da morire è questo: http://robydickfilms.blogspot.com/2009/01/dillinger-morto.html

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  2. grazie roby, ma addirittura la migliore... devo dedurre che o non hai letto altre recensioni ovvero non sono state scritte recensioni fortemente critiche verso il film.
    a parte gli scherzi, per dillinger ci leggiamo sul tuo blog.

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  3. Qui mi trovi perfettamente d'accordo.

    Trovo che Haneke sia un regista tronfio, uno di quelli che, come si suol dire "se la suona e se la canta"
    (tempo fa ho anche visto una sua intervista che ne conferma questa impressione: antipatico da morire!).

    Ho iniziato a seguirlo perché avevo apprezzato molto La pianista(l'unico infatti che mi sia piaciuto), poi l'ho trovato ogni volta più deludente.
    Fastidioso da morire Funny Games, per il quale, non contento, ha anche fatto l'autoremake :-D

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  4. @ biancaneve: finalmente qualcuno che ha capito l'imbroglio. un saluto

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